Secondo

Un fotografo e il suo indice anchilosato. Un fotografo e il suo occhio spento.
Come un’auto senza la benzina. Come una chitarra senza le corde.
Ma forse Winter mi ha già scoperto. E dire che ha soltanto vent’anni.
Poi all’improvviso, un'esplosione dalla cucina.
Dalla cucina o dal passato???

 

 

A cena da Winter.
Appena vent'anni, e pensieri da adulto.
E noi due, Cesare e io. Che vent' anni li abbiamo compiuti già due volte per uno.
Quasi.

Vorrei scappare. Eppure vorrei restare.
Tanto Winter mi ha già scoperto, mi ha già cliccato.
   
   
Che hai? Sei strano. Hai voglia a negare. Ti giuro, sono normalissimo.
Solo vent'anni. Ma come fai?


Oggi, per la prima volta, la mia Fedele pesa. Fedele come un cane parlante; fedele come la mia coscienza. Per la prima volta pesano i suoi 35 millimetri e i miei 38 anni.
E se ancora non bastasse, la paralisi dell'indice destro....


Così, senza un preavviso.
Senza darmi il tempo di organizzarmi, di difendermi, di capire.
E quella hostess della Balcan Air, che non riuscivo a fotografare. Proprio io. Era incantevole, tutta una schiuma di carne. Qualcosa in lei mi ricordava Anna, il nasetto verso l'alto come il muso di un capriolo. Bellezza sprecata. E quell'aereo che ci metteva un secolo, a portarmi via da Belgrado. Nuvole, squarci di lampi, gommoni come briciole sull'Adriatico, uomini e destini giù in fondo come formiche: soltanto bellezza sprecata.
   
"E quella hostess della Balcan Air, che non riuscivo a fotografare. Proprio io. Era incantevole, tutta una schiuma di carne. Qualcosa in lei mi ricordava Anna, il nasetto verso l'alto come il muso di un capriolo. Bellezza sprecata"
Contributi. Script.

La hostess della Balcan Air ha notato lo sguardo allucinato del protagonista che la fissava con insistenza: dopo aver escluso che potesse trattarsi di un maniaco sessuale, che cosa ha pensato la donna?.
 
Da un mese c'è in macchina la stessa pellicola vergine: sono sempre bloccato. Di fotografare non ho più voglia: quello che ho ripreso per anni è soltanto morte. E mi chiedo, se davvero avesse una voce, oggi la mia Fedele che razza di voce avrebbe, per accusarmi di bruciare così tante occasioni.

Davvero la voce di Frank Zappa? O la stessa, gracchiante di Cesare, quando ancora parlava, alle assemblee di Facoltà, da un capo all'altro dell'aula?...
   
    -No, ti giuro, sono normalissimo.
-Non è vero.
-Sì invece.
-Sei diventato un osso.
-Che ne sai tu?
Incalza. Scandisce. Anzi, spara a zero. Ma chi gli dà il diritto? I suoi vent'anni? Vent'anni e altrettanti motivi per permettersi di andare dove gli pare? inclusi i ricordi altrui?
Si siede per terra a gambe incrociate, la Marlboro tra le labbra. E quella serietà che lo avvolge tutto, come un mantello. E quella voce supergutturale:
-Eravate comunisti, una volta, te lo ricordi? Non volevate che il sistema vi riducesse a cose.....
-Te l'hanno detto che il comunismo è morto?
Sorride. Ma i suoi sorrisi sono sempre difficili, nascondono ben altro che spensieratezza. In compenso nelle mie asserzioni c'è rabbia pura. Del resto l'ho ripresa io, la fine del comunismo; l'ultimo atto, non più di un mese fa. E mi è anche costata la carriera. E mi è anche costata il cuore. Quegli uomini per le strade di Durazzo, le facce scolpite e pietrose. Arrestati perché rubavano zollette di zucchero. E quella gente ancora in coda per un pezzo di pane secco, e i centomila bunker monumento alla follia di un secolo. E poi Sarajevo, ah già, Sarajevo, con il piccolo buco nel cuore del piccolo Marko...Che altro potrei fotografare, che non fosse morte pura?
Winter abbassa le palpebre. Se ne va da qualche altra parte a vedere la realtà vera, non gli bastano più le mie quattro parole, le mie sconce foto sui giornali, le mie ancor più sconce giustificazioni.
Lascia passare uno dei suoi preoccupanti silenzi. E poi:
   
  -Ti spostano il mondo sempre da un'altra parte, è vero? Ti danni da quando ti conosco. C'è sempre qualcosa che arriva prima di te....
Quella scheggia nel cuore del piccolo Marko è arrivata prima di me, per esempio. Morte. Di nuovo. Adesso però mi libero. Gli dico tutto. Gli dico del caposervizio faccia da gesuita, della mia paralisi, della mia malattia, di come non riesco più a fare clic, neppure a una pianta di gerani.... Perché la realtà che mi brucia è che da millenni non c'è più niente di nuovo sulla terra. E anzi l'unica cosa nuova è la più vecchia di tutte: è la morte. E io non ho più cuore di fotografare morte.
 
   
Povero amore mio.
Col cuore appeso a un pulsante,
a una scocca di ferro.
Con l'occhio sgranato, sempre.
E solo la penombra
ad abbracciarti... 
   
  -Sapessi.
-Ma cosa?
Non capisce. E ha ragione:
a vent'anni non può capire. Mi guarda con quella sua specie di saggezza.  (E Cesare che intanto è sparito di nuovo, le discussioni lo mettono sempre in allarme.) Mi guarda con quella sua specie di pietà. Si alza. Prende la sua Fedele. Che non è una macchina fotografica, ma una chitarra elettrica. Gesti prudenti, anzi perfino garbati. Le maniche della camicia perfettamente calate fino ai polsi.
 
    E le mani eleganti, avvezze a corde e a consolle. Ora attacca, senza dire più niente. Sembra Say the brother’s name,di Pat Metheny. Flash. I capelli nerissimi gli accarezzano le tempie al minimo movimento.    
    E' come se avesse un piccolo corvo sempre attaccato alla fronte. Non dice niente, si muove e suona come se fosse solo, tutto preso dalla musica e basta. Ma non è Pat Metheny, è un pezzo composto da lui che mi riporta indietro di vent'anni, quando lui neppure era nato, quasi. Quando il mondo era nostro, e non suo. Quel mondo spaccato in due in cui si stava così comodi. Est e ovest, rossi e neri, buoni e cattivi. Pink Floyd e Jethro Tull.  
    Corde rispettosamente estese fino allo strazio, e poi, consumate fino alla bellezza. Accordi malinconici, ma un po' tesi, capaci di far del male con educazione. Sta entrando di nuovo nel mio passato. Lasciandoci impronte senza autorizzazione.
-Ti piace? L'ho intitolata"Esilio".
Arretra gli occhi in una profondità che rasenta la superficie, verso il disarmo assoluto. Gli occhi chiarissimi, dietro gli occhialetti alla John Lennon. Io non riesco quasi a sostenergli lo sguardo, quando lo riconosco così serio. La serietà dell'innocenza che mi fa un buco nelle budella.

-Dovrai dirmelo tu.
Forse ha intuito, e cerca di leccarmi le ferite. A trovarle. Lo fa come può, con quello che ha in tasca. Fumo di sigaretta e due accordi strappati.
Ma no, non può essere così profondo, non deve. E' solamente un ragazzino, per cui non esistono che la musica e i film.
 
"-Ti piace? L'ho intitolata "Esilio"."
Contributi. Musica.
Componete voi Esilio di Winter
 
    E allora perché non gli faccio una fotografia? che mi ci vorrebbe? Proprio adesso che resiste alle mie vergogne? Adesso che sembra lui il quarantenne, e io il pischello....
Invece all'improvviso si ricorda delle salsicce e si precipita di là. Musica interrotta, "Esilio" sospeso, e dire che mi aveva per un attimo espatriato da me stesso. Mi aveva fatto dimenticare che davvero sono diventato un osso, e che neppure un cane mi degnerebbe di una leccatina.
 
   

All'improvviso, un fragore, una specie di boato.
Mi precipito in cucina, col cuore in bocca.


……


Era una granata inesplosa e fece una bufera di schegge: ognuna una forma diversa, ognuna una ferita diversa. A punta, a strappo, a picca, a merletto. Certe, perfino belle.
Sarajevo, tre giorni dopo Durazzo. Erano gli ultimi bambini della Bosnia, poi finiva la Bosnia e finiva anche il mondo, quanto alla guerra era finita da un pezzo, dicevano. E invece una scheggia infilzò Marko, a un millimetro al cuore. Una scheggia travestita da giocattolo. 
   
  Per un attimo brillò come una cometa. Il cuore di Marko, il cuore del mondo intero. Quando la guerra ormai era finita.
Per fotografare quell'ultimo bambino, ho lasciato che morisse. Invece di soccorrerlo, ho fatto clic. Ho perso secondi, ho perso respiri... "Non avrebbe mai fatto in tempo, gospòdin, si dia pace". 
 
    Il dottore bosniaco aveva una faccia di canyon e vallate, massiccia come tutte le facce slave. Così ora possiedo la bellissima e artistica fotografia di un piccolo buco sulla maglietta di un bambino slavo, all'altezza del cuore. Così ora so che forma fa il sangue quando scappa da un cuore di bambino fino a lasciarlo del tutto: la forma di un veliero che non va da nessuna parte.    
    Facevo scalo a Belgrado, per tornare a casa. La Honda la cedevo a un medico senza ospedale che faceva la spola fra Pristina e Kukes, per trasportare medicinali, assistere i cosiddetti incurabili.
L'indice destro doleva,
fino a un crampo gelato che arrivava giù al cuore.