Voci dal carcere
 

 

A cura di
Eugenio BONANATA,
Stefano CAVALLO, Laura DE LUCA, Mara MICELI, Alessandra PETITTA, Rosario TRONNOLONE
 

 

La storia di questo progetto parte quasi tre anni fa, da Rebibbia. I detenuti hanno appena realizzato e rappresentato un dramma al Teatro Valle. L’esperienza naturalmente li ha molto gratificati e vorrebbero ripeterla. Alcuni volontari si fanno da tramite presso noi della Radio Vaticana per cercare specialisti della parola che aiutino i reclusi a perfezionarsi nelle tecniche necessarie. Si parla della possibilità di portare in scena il diario di un ergastolano. Ci pensiamo a lungo. Dire sì non è facile, non è come accettare di tenere un seminario di dizione presso una facoltà di Scienza della Comunicazione o simili. Dire sì comporta una scelta di fondo, un impegno grave, una coscienza molto precisa dei propri limiti e delle proprie forze.

Tuttavia, dopo lunghe consultazioni, diciamo sì ed elaboriamo un progetto. Lo elaboriamo mettendoci dentro professionalità e cuore. I volontari lo sottopongono alla direzione del carcere. Passano i mesi, ma nessuno ci aggiorna sull’evoluzione della proposta, che è stata debitamente formalizzata; sollecitati a riferirci gli sviluppi, i volontari che ci avevano contattati risultano vaghi, evasivi, incerti. Fino a risponderci che il direttore della sezione interessata ha negato il suo consenso.

Intuiamo che la reclusione non è necessariamente quella dentro una cella. Intuiamo che perfino tra gli operatori esistono gerarchie, ambiguità, lati oscuri. E poi Rebibbia, fatti salvi i drammi delle persone e l’impegno di chi vi lavora onestamente, sembra essere il terreno ideale per il business del “dentro le sbarre”. Fioriscono iniziative, spettacoli, giornali, siti web, libere associazioni, fin troppo di tutto, e il dubbio è sempre lo stesso: saranno davvero i detenuti a beneficiarne?

Passano altri mesi. Il nostro progetto è perso chissà dove. I detenuti che lo provocarono forse hanno terminato la loro pena, forse invece sono ancora dentro e hanno rinunciato a lottare, non lo sapremo mai. Un vago senso di frustrazione ci fa amara la bocca. E’ per questo che, incontrato occasionalmente padre Vittorio Trani, cappellano a Regina Coeli, il carcere storico di Roma, giriamo a lui la nostra proposta. Che prevede la realizzazione di un documentario audio dentro il carcere, realizzato dagli stessi detenuti. L’idea viene subito accolta: la “misura” di Regina Coeli è decisamente più umana, le dimensioni di tutto sono più modeste, i termini dei problemi comunque più abbordabili. Regina Coeli sta a Rebibbia come il piccolo paese sta alla grande metropoli. E così padre Trani fa suo il nostro progetto e lo gira alla direzione. Il rapporto è fiduciario, umano, non istituzionale. Trascorriamo così l’estate 2005 a” intrattenere” i detenuti. Due volte la settimana. La speranza è poter lasciare loro due registratori minidisc che essi possano autonomamente gestire per girare da soli il proprio documentario sul carcere, nell’arco delle loro interminabili giornate, attraverso auto-interviste, riprese sonore, denunce. Li istruiamo per questo. Autoraccontarsi. Ma non andrà così, perché il carcere è davvero un universo a parte e nell’intrico dei permessi, nonostante la buona volontà dei singoli, la cosa più elementare è destinata a complicarsi comunque. I registratori potranno entrare in funzione solo in nostra presenza, e i supporti minidisc saranno sottoposti a preascolto da parte dello stesso padre Vittorio, prima di poter uscire nelle nostre mani. Ma tutto ciò sarà sufficiente per noi a fermare storie indimenticabili.

Al termine della nostra “missione”, solo parzialmente riuscita, è nata così la voglia di lasciarne comunque un segno, di darne una testimonianza. Ecco allora il nostro diario di viaggio, scritto a più mani. Che insieme è la trascrizione fedele delle nostre conversazioni, delle loro storie. Coi reclusi abbiamo condotto chiacchierate in un certo senso “da treno”, sul più e sul meno, su tutto e su niente. Certo, i vagoni di questo treno avevano sbarre e il treno non aveva direzione…. Sei persone cosiddette libere ci sono salite sopra e hanno sperimentato la stranezza di un viaggio lunghissimo, movimentato, pazzesco, in cui in apparenza, tutto restava fermo. Ma solo in apparenza…


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