Quarta scena

L'attesa.

 

FILIPPO

25... più 25, ancora 25. L’addizione non dà nessun risultato: sempre lo stesso numero.

COSTANTINO

- Morirò senza capelli bianchi, morirò senza capelli, che schifo!

FILIPPO

In realtà c’erano dei capelli sulla sua testa bianca, ma erano troppo corti per farne una ciocca, e troppo pochi per passarci la mano e attraversarli tutti.

COSTANTINO

- Perché mi hai fatto questo? Stavo preparando il mio momento di gloria: Costantino al centro e i professori davanti a lui, a semicerchio, affascinati dalla sua oratoria, contagiati dal suo entusiasmo, lodanti la sua preparazione!

FILIPPO

Carta, parole… che peso! Costantino chiuse gli occhi e i pensieri parlarono per lui.

COSTANTINO

Non sono più un uomo. Non sono più un uomo! Dio, guarda cosa sono! Tutto stropicciato in questo dannatissimo letto, in questa stanza asfissiante, grande e vuota. E poi questi muri che mi stanno addosso, che mi scrutano, che mi opprimono... tutto ammaccato, sfatto. Fatto e disfatto.
“C’era una volta una farfalla...” Belle le favole, no? “Piccola e leggera fuggiva da tutto quello che non era”. Faccio anche la rima! Solo io non posso fuggire, sono intrappolato qui, sempre qui.
La farfalla... anche lei, però, ha vita breve, spesso finisce male, dura poco. Muore presto.
PERCHÉ?

 

L'uomo farfalla, acquerello di Diego Romano, 2002

FILIPPO

- Non me l’aspettavo Costantino, giuro che non me l’aspettavo.

COSTANTINO

Ingenuo Filippo, cosa c’entri tu con me? Perché vuoi entrare in una storia che non è tua, nel dolore che non ti appartiene, nell’immensa voragine che mi si apre davanti? Vorrei aiutarti ad aiutare me, ma devo concentrarmi su questa spalla che non mi dà tregua, sull’aria che mi manca. Come posso ascoltare le tue stronzate e i tuoi tentavi di starmi accanto? Fossi in te fuggirei lontano, per non vedere e per non sentire. Ma io non sono te e non lo sarò mai. Purtroppo.

FILIPPO

La scena dell’ospedale era così chiara nella mente di Costantino, e lui quel giorno così presente, così dannatamente attento a ogni sguardo e a ogni movimento. E il foglio era tutto bianco, e quella scritta tutta nera: carcinoma polmonare.
- A cellule squamose - si era premurato di aggiungere il dottore, anzi, il professore.
Pazze cellule che non seguono più la fila e vogliono fare di testa loro, si riproducono come piace a loro.
- Non si preoccupi, è il tipo di cancro più diffuso. Aveva aggiunto il professore.

COSTANTINO

Più diffuso uguale a più banale, più comune, quasi non c’è gusto nel curarlo! E infatti… sono un malato terminale. INIZIO e FINE. Per tutti è così, perché dovrebbe sorprendermi?

 

FILIPPO

Costantino riaprì gli occhi.

COSTANTINO

- Io non sono pronto, non sono pronto! Io non ho fatto niente di male, sono uno come tanti, uno fra tanti. Tu stesso hai visto che vita ho condotto finora: casa, sfasciata, università, alla grande, ragazze, una e lasciata in corsa, sigarette, poche, troppo poche, moto e motorino, di mio fratello. Chissà se Filippo capisce quello che sta succedendo. Lui non capisce: parla, straparla, si agita, e io... resto fermo. C’è il mondo che corre, ci sono le grandi architetture, e poi i particolari, e io mi perdo tutto. A me non arriva niente. Non partecipo. Sto qui, in attesa.

 

 

     
   
   
Filippo    Gaetano Lizzio
Costantino    Andrea Martella
  
Musiche originali    The sound of dreams, Gianluca Podio
    citato anche Preludio per jazz Ensemble, Igor Stravinski
  
Allestimento e regia    Gian Berardino Carlucci